Le nostre cicatrici digitali sono i nostri bias
Senza filtri #15
L’altro giorno cazzeggiando su instagram mi sono imbattuto in un video dove un ragazzo elencava tutte le cose che chi è nato dopo il 2000 non capirà mai.
Aspettare ore per scaricare un film, perdere un episodio in TV e non poterlo mai più rivedere.
Stampare le mappe prima di partire e pregare di non sbagliare strada perché “quella benzina costa.”
Mentre ascoltavo, sorridevo e pensavo (da vero anziano): “bei tempi”.
Ma purtroppo da “anziano” questo genere di cose si portano dietro dei retro pensieri…
Io costruisco prodotti digitali. E costruisco partendo da quelle esperienze.
Quelle attese infinite, quella scarsità, quella necessità di scegliere con cura perché non potevi permetterti errori.
Così mi sono chiesto: e se quelle esperienze passate, che per me sono state formative, fossero oggi i miei limiti più grandi?
Ho conosciuto un mondo che oggi non esiste più (e questo è un problema)
Se una cosa valeva, potevi aspettare. Nel mondo in cui sono cresciuto la pazienza è una virtù e l’anticipazione rende le cose più preziose.
Ricordo ancora la soddisfazione di svegliarmi la mattina e vedere l’avanzamento della barra dei download, ore passate ad aspettare per un motivo.
Oggi, 3 secondi di caricamento sono un’eternità, un form di registrazione con più di 2 campi è troppo e se una cosa non funziona immediatamente, viene abbandonata.
Ho imparato a valutare prima di scegliere.
Quando sceglievo un film lo facevo con attenzione: non potevo cambiare idea a metà e sprecare tempo ad aspettare, quindi leggevo le recensioni, guardavo i trailer più volte e pesavo le opzioni.
Oggi però non vogliamo scegliere, vogliamo che sia il prodotto a farlo per te. “Show me the best, subito.” Zero decisioni, zero problemi.
Ho imparato che la complessità significa controllo.
Passavo ore a configurare software. Più opzioni c’erano, meglio era. Ogni setting, ogni personalizzazione era potere nelle mie mani.
Oggi quella complessità ci spaventa perché non si vogliono mille opzioni, ma qualcosa che funzioni subito senza dover capire come.
Ho imparato che capire come funziona fa parte dell’esperienza.
Quando installavo un programma come prima cosa leggevo il manuale, poi magari cercavo le FAQ e se qualcosa ancora non era chiaro andavo sul forum di supporto. Era normale, faceva parte del processo per imparare a usare uno strumento.
Oggi se serve leggere più di tre righe, l’app è già chiusa o anche disinstallata. Non è immediato? Ottimo, non ne vale la pena. Però non esiste un bene o un male, un migliore o un peggiore.
Stiamo costruendo per contesti diversi, con aspettative diverse, plasmate da esperienze e ritmi diversi. Il problema, però, è quando non me ne accorgo.
Quando penso che le “best practices” siano universali e in realtà sono solo quello che hanno funzionato per la mia generazione.
Quando costruisco un prodotto e mi stupisco che “gli utenti non capiscono” e non mi chiedo: forse il problema è che sto costruendo considerando solo me stesso e la mia esperienza?
Il bias non è solo generazionale
Ma la cosa che mi spaventa di più è che questo non riguarda solo le generazioni più giovani.
Se costruisco per un target più anziano, ho lo stesso identico problema.
Loro hanno imparato a diffidare del digitale, a voler stampare tutto, a cercare conferma umana prima di cliccare su “conferma.”
Hanno imparato che “se è gratis, c’è la fregatura”, che “meglio chiamare che mandare un messaggio” e che “il computer è complicato, meglio chiedere aiuto”.
E io? Io do per scontato che “tutti sappiano usare un’app” o che “basta un tooltip per spiegare.”
Insomma, “se è intuitivo per me, lo è per tutti”, no?
Costruisco prodotti dove “basta fare login con Google” e non mi rendo conto che per alcuni quella frase genera ansia. “Dove vanno i miei dati? Cosa vede Google? È sicuro?”
Non è capire (o non capire) i giovani o i vecchi. Il punto è che io costruisco partendo da ME. E questo è un problema.
I prodotti cambiano perché le persone cambiano
Sei anni fa costruivo prodotti diversi da quelli che costruisco oggi.
Non perché sono diventato più bravo (anche un po’ quello dai…) ma perché le aspettative sono cambiate.
Funzionalità che avevano “senso” nel 2018, oggi sono superflue. Interfacce che erano “intuitive” allora, oggi sono troppo complicate.
Le persone non usano i prodotti allo stesso modo: le loro esperienze formative sono diverse e lo sono anche le loro aspettative.
E tra 6 anni? Cosa costruirò? Per chi? Con quali assunzioni?
Se non mi interrogo su questo oggi, rischio di diventare irrilevante domani. Rischio di essere di professionista che continua a costruire per un mondo che non esiste più.
Cosa sto facendo per evitare di restare indietro
Non ho la risposta. Ma ho capito che il primo passo è riconoscere il problema. Non posso eliminare i miei bias, sono parte di me e sono frutto delle mie esperienze, ma posso essere consapevole che esistono.
Mi chiedo sempre: “Sto costruendo per me o per loro?”
Quando progetto una feature, mi fermo e penso: “Questo risolve un problema vero o sto solo costruendo come MI ASPETTO che funzioni?”
Se la risposta è la seconda, devo fare un passo indietro.
Devo chiedermi: chi userà questo prodotto? Quali sono le loro esperienze? Cosa si aspettano?
Non cosa MI ASPETTO io. Cosa si aspettano LORO.
Cerco contaminazione
Parlo con utenti di generazioni diverse, ma non perché voglio sentirmi dire “sì, hai ragione”, ma per capire come ragionano.
Quindi chiedo sempre: “tu come useresti questo? Cosa ti aspetti che succeda quando clicchi qui?”
E ascolto, davvero eh. Senza pensare “eh vabbè ma non ha capito”, perché se non ha capito il problema non è suo. È mio.
Osservo senza giudicare
Quando vedo un prodotto che “non ha senso per me,” invece di pensare “è fatto male,” mi chiedo: “Per chi ha senso? Perché?”
Non devo capirlo. Non devo usarlo.
Devo capire chi lo usa e perché funziona per loro.
Perché se funziona per loro e io non lo capisco, significa che sto guardando con i miei filtri e con i miei bias.
E quei filtri potrebbero essere il mio limite.
Non è solo tech, è cultura
Il rischio più grande non è non conoscere l’ultima tecnologia. È pensare che il nostro modo di vedere i prodotti sia l’unico modo. Perché i prodotti non sono solo codice, interfacce, funzionalità. Sono esperienze plasmate dal contesto culturale di chi li usa.
Chi è cresciuto aspettando i download ha imparato la pazienza. Chi è cresciuto con tutto on-demand ha imparato l’immediatezza.
Chi ha dovuto stampare le mappe si fida del controllo. Chi ha sempre avuto Google Maps si fida dell’algoritmo.
Chi ha perso dati importanti per un crash ha imparato a salvare tutto. Chi ha tutto nel cloud non sa nemmeno cosa significa “salvare.”
E io? Io devo costruire per tutti loro. Non solo per me.
Comunque, quello che voglio dire non è di cancellare le proprie esperienze.
Sono preziose, perché ci hanno insegnato tanto.
Ma bisogna essere consapevoli che quelle esperienze sono filtri, e se non li riconosco, diventano limiti.
La domanda che mi faccio sempre più spesso è questa:
“Sto costruendo prodotti per il mondo che ho conosciuto o per il mondo che esiste oggi?”
Perché il mondo che ho conosciuto io non esiste più.
E quello che esiste oggi cambierà di nuovo domani.
E se non cambio io, resto indietro.
Ci vediamo alla prossima newsletter.
Senza filtri,
Chri


